Alessandro Carugini SPECIAL I Queen e l’affaire Sun City

I Queen e l’affaire Sun City

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In questi 30 anni di collezionismo mi è capitato spesso di leggere articoli contrastanti sulla decisione della band di suonare a Sun City, la Las Vegas Sud Africana. Era da qualche anno che, comunque, non se ne parlava ma con l’uscita del film Bohemian Rhapsody e con il suo grande successo, che credo neanche i più ottimisti avrebbero paventato, i Queen ed il loro frontman, Freddie Mercury sono tornati prepotentemente alla ribalta. Considerando che i Queen non hanno mai avuto così tanta popolarità nel nostro paese fino alla tragica data del 24 Novembre 1991, non era poi così difficile immaginarsi questo scenario dove tutti montano sul carro del vincitore: TG che in prima serata parlano dei Queen e di Freddie Mercury, tutti i big della musica italiana ed internazionale, programmi televisivi in prime time, giornali e giornaletti di ogni tipo e specie che omaggiano il gruppo londinese. Ma… Ma da questo coro smielato, si alza una voce contraria. Infatti Gabriele Ansaloni, conosciuto da tutti con il nome d’arte di Red Ronnie, se ne esce con una intervista dove (qui potete trovare l’intervista integrale), tra le altre cose, dice:

Bohemian Rhapsody? È un film santino che non dice la verità. Freddie Mercury sapeva anche deludere.I Queen e Freddie Mercury sono stati una band leggendaria e lui era un grande animale da palcoscenico ma per certe sue scelte del tempo mi deluse come persona (e non solo me) spegnendo ogni curiosità di intervistarlo. […] Ma veniamo ai fatti.[…] Nel 1984 i Queen arrivarono a Sanremo. Io allora non ero amato dalle case discografiche e quindi non chiesi neppure l’intervista. Così partecipai a un incontro intimo con Freddie insieme ad alcuni giornalisti. Non ricordo neppure la domanda che feci, né ho mai rivisto le riprese. Io alle conferenze stampa non facevo domande o se le facevo non erano certo particolari perché i giornalisti dei quotidiani se ne appropriavano, spacciandole per proprie, e ti ritrovavi la risposta data a te il giorno dopo stampata sui giornali. Quindi ho sempre tenuto le domande che ritenevo interessanti per le interviste private. Di quel Sanremo ricordo anche che dissi a Michele Di Lernia, discografico della EMI e dei Queen:

“Ma perché avete fatto fare ai Queen il nuovo singolo “Radio Gaga” le due serate al festival? Non potevate fare “We are the champions” la prima sera e “Radio Gaga” la seconda? Per far capire chi sono i Queen.”

Michele, stupito, mi rispose:

“Hai detto la stessa cosa che ci ha osservato Freddie Mercury. Anche lui voleva fare “We are the champions” la prima sera perché è il pezzo più famoso del gruppo.”

Questo serve a far capire come in quel periodo, nonostante il boom avuto con “Bohemian Rhapsody” [la canzone, ndr] (un capolavoro), i Queen non fossero ancora così famosi. Alla fine del 1984, però, accadde qualcosa che mi fece cancellare i Queen dai miei radar. Da anni in Sudafrica era in atto un feroce Apartheid di cui stavamo prendendo atto. Nelson Mandela era in carcere dal 1964, ma la vicenda rimaneva nascosta. Stephen Biko fu arrestato, torturato e gli fracassarono il cranio nel 1977, ma noi ce ne accorgemmo solo grazie a Peter Gabriel che nel 1980 gli dedicò una struggente canzone, “Biko”, che ebbe un grande successo. Fu Peter Gabriel a rompere l’embargo e a rendere noto a tutti quello che stava accadendo in Sudafrica: il feroce schiavismo bianco che teneva incatenati i neri, legittimi proprietari di quella terra. Solo Cuba aveva invano denunciato l’Apartheid con manifesti e articoli. Tra gli artisti cominciò a circolare una regola: rifiutare gli inviti per andare a suonare a Sun City, la ricca città di divertimento degli schiavisti bianchi, una sorta di Las Vegas sudafricana. Anche l’ONU appoggiò il boicottaggio a Sun City.  Chiaramente le offerte in denaro per andarci erano molto allettanti, ma tutti le rifiutarono. Tutti tranne Elton John, Rod Stewart, Frank Sinatra e… Queen.

Freddie Mercury dichiarò:

“Sono sicuro che il pubblico sarà fantastico. Abbiamo intenzione di suonare a Sun City, è un appuntamento importante. Elton John ci è stato ed è riuscito a richiamare una marea di gente, facendo un mucchio di soldi. E io sono nel giro anche per fare soldi”

Quindi: chissenefrega dell’Apartheid, dello schiavismo, del fatto che i soldi con cui mi pagheranno saranno insanguinati!Il problema dell’Africa nel frattempo è diventato urgente. La BBC trasmette un documentario che mostra come tantissimi, anche bambini, stiano morendo di fame in Etiopia. Bob Geldof lo vede e immediatamente chiama Sting prima e Midge Ure dopo. Nasce l’esperimento Band Aid con la canzone “Do they know it’s Christmas” dove tutte le star invitate partecipano: Duran Duran, Spandau Ballet, U2, Boy George, George Michael, David Bowie, Paul McCartney etc. Tutte tranne i Queen. Infatti Bob Geldof si guarda bene dall’invitarli, visto che un paio di mesi prima hanno fatto 10 concerti a Sun City.”

Questa è sola la parte di intervista che mi interessa per questo articolo, ma se avete voglia, potete anche vedere la il suo Red Box qui.

Adesso veniamo a noi e ai concerti dei Queen in Sud Africa, ma prima facciamo un bel passo indietro…

L’apartheid era la politica di segregazione razziale istituita nel 1948 dal governo di etnia bianca del Sudafrica, e rimasta in vigore fino al 1991. L’apartheid fu dichiarato crimine internazionale da una convenzione delle Nazioni Unite, votata dall’assemblea generale nel 1973 ed entrata in vigore nel 1976 (International Convention on the Suppression and Punishment of the Crime of Apartheid), e quindi successivamente inserito nella lista dei crimini contro l’umanità.

Questo termine fu utilizzato, in senso politico, per la prima volta nel 1916 dal primo ministro sudafricano Jan Smuts, ma solo dopo la vittoria del Partito Nazionale nelle elezioni del 1948, questa idea venne trasformata in un sistema legislativo compiuto. I principali ideologi dell’apartheid furono i primi ministri Daniel François Malan (in carica dal 1948 al 1954), Johannes Gerhardus Strijdom (dal 1954 al 1958) e Hendrik Frensch Verwoerd (vero e proprio “architetto dell’apartheid”), in carica dal 1958 fino al suo accoltellamento nel 1966 da parte di Dimitri Tsafendas, un semplice uomo di fatica del parlamento sud africano. Verwoerd definiva l’apartheid come “una politica di buon vicinato”. Questa politica voleva la separazione dei bianchi dai neri nelle zone abitate da entrambi (per esempio rispetto all’uso di mezzi e strutture pubbliche) e l’istituzione dei bantustan, i territori semi-indipendenti in cui molti neri furono costretti a trasferirsi. C’è da dire che in Sudafrica, i neri ed i meticci costituivano l’80% circa della popolazione, ed i bianchi si dividevano in coloni di origine inglese ed afrikaner. Questi ultimi, che costituivano la maggioranza della popolazione bianca, erano da sempre favorevoli ad una politica razzista, mentre i sudafricani di origine inglese, malgrado il sostanziale appoggio dell’apartheid, erano più concilianti nei confronti dei connazionali neri. Con le elezioni del 1928 vennero introdotti nel paese i primi elementi di segregazione razziale, ma nel 1939 Jan Smuts (ex capo del governo sudafricano) tornò al potere e il nazionalismo afrikaner non poté proseguire il suo progetto politico. Durante la seconda guerra mondiale un gruppo di intellettuali afrikaner influenzati dal nazismo completò la teorizzazione del progetto dell’apartheid: affermando  di voler dare ai vari gruppi razziali la possibilità di condurre il proprio sviluppo sociale in armonia con le proprie tradizioni.

Per portare avanti questa filosofia, vennero costituite anche delle leggi ad hoc, le principali erano la proibizione dei matrimoni interrazziali, l’avere rapporti sessuali con una persona di “razza” diversa diventava un fatto penalmente perseguibile, imposizione ai cittadini di essere registrati in base alle loro caratteristiche razziali (Population Registration Act), bandire ogni opposizione che venisse etichettata dal governo come “comunista”, divieto alle persone di colore di entrare in alcune aree urbane e di utilizzare le stesse strutture pubbliche (fontane, sale d’attesa, marciapiedi, etc.), discriminazioni razziali per rendere più difficile per i neri l’accesso all’istruzione e la possibilità di fare carriera e di poter semplicemente lavorare, istituzione di bantustan, ghetti per la popolazione nera, nominalmente indipendenti ma in realtà sottoposti al controllo del governo sudafricano e privazione della cittadinanza sudafricana e dei diritti a essa connessi gli abitanti dei bantustan e la possibilità data alla popolazione nera di poter frequentare i quartieri della gente “bianca” solo con degli speciali passaporti.

Nel 1956 la politica di apartheid fu estesa a tutti i cittadini di colore, compresi gli asiatici. Negli anni ’60, 3,5 milioni di neri, chiamati bantu, furono sfrattati con la forza dalle loro case e deportati nelle “homeland del sud”. I neri furono privati di ogni diritto politico e civile. Potevano frequentare solo l’istituzione di scuole agricole e commerciali speciali. I negozi dovevano servire tutti i clienti bianchi prima dei neri.

Il mondo non stava proprio a guardare, infatti la comunità internazionale varò una serie di sanzioni al regime segregazionista sudafricano. Anche gli Stati inizialmente ostili a tali misure, come Stati Uniti e Gran Bretagna che preferirono una politica conciliante nota come “constructive engagement”, a metà degli anni ottanta si allinearono agli altri Paesi.

Forti furono anche le pressioni internazionali nel mondo dello sport, con il Sudafrica escluso fino agli anni ottanta dalle partecipazioni alle Olimpiadi a causa dell’apartheid. Inoltre ci fu il boicottaggio di 33 nazioni africane alle Olimpiadi del 1976, in segno di protesta contro la nazionale di rugby neozelandese che aveva accettato di giocare alcune partite contro la squadra sudafricana.

La prima iniziativa ufficiale volta all’isolamento sportivo venne adottata con l’accordo di Gleneagles ratificato dal Commonwealth delle nazioni nel 1977.

Anche la musica venne coinvolta: era proibito andare a fare concerti in Sud Africa! Le Nazioni Unite avevano creato una blacklist di oltre 200 artisti che si erano esibiti in quel paese violandone la direttiva, tra questi spuntano i nomi di: Frank Sinatra, Ray Charles, Cher, Beach Boys, Vienna Boys Choir, Dolly Parton, Liza Minelli, Johnny Mathis, Paul Anka, Chick Corea, Linda Ronstadt, Sha Na Na, Telly Savalas, Helen Reddy, Laura Antonelli, Valery e Galina Panov, Montserrat Caballé, Paul Anka, Black Sabbath, Status Quo, Rod Stewart e Elton John. E ne mancano molti altri… Visto gli illustri colleghi, anche i Queen decisero di entrare, senza volerlo, in questa ‘blacklist’… Una decisione che si rivelerà molto dolorosa!

Nel  1984 possiamo dire che esibirsi a Sun City non era visto di buon occhio, ma i Queen, come detto, accettarono la sfida ed il rischio con molta superficialità. Secondo loro il fatto di poter suonare di fronte ad un pubblico misto e la volontà di non assumere alcun connotato politico, limitandosi a fare solo i loro spettacoli, come già avvenuto in Argentina, sarebbe bastato per non passare da razzisti.

Così, con questa consapevolezza, la band decise di affrontare questa serie di concerti come tutti gli altri, come dimostrano le dichiarazioni di Freddie: “Sono sicuro che il pubblico sarà fantastico. Abbiamo intenzione di suonare a Sun City, è un appuntamento importante. Elton John ci è stato ed è riuscito a richiamare una marea di gente, facendo un mucchio di soldi. E io sono nel giro anche per fare soldi […], è molto bello essere qui, mi divertirò!

Roger Taylor, quello più attento politicamente, cercò di chiudere la questione così: “I Want To Break free è l’inno ufficioso dell’African National Congress, mentre Another One Bites The Dust è uno dei brani più venduti tra le popolazioni di colore.

Quindi nell’ottobre del 1984 i Queen avevano in programma ben 12 concerti a Sun City, un’area ludica piuttosto ampia, che viene spesso definita la Las Vegas del Sud Africa. A tal proposito, Paul Gambaccini, veterano presentatore TV e radio della BBC, disse nel 2011: “Sun City era un resort di livello internazionale in Sudafrica e la posizione quasi totalitaria della scena rock era che suonare in Sud africa voleva dire in un certo senso appoggiare l’Apartheid.

Ma il gruppo era deciso a suonare lì! I concerti si tennero tutti al Super Bowl, che poteva contenere 6000 persone e furono tutti sold out; infatti i biglietti erano andati tutti venduti in un solo giorno, un record per il posto ed, al contempo, la dimostrazione che la musica dei Queen non aveva limiti geografici. Giusto per essere precisi, erano pochissimi gli spettatori di colore. Il costo di un biglietto era di 26 Rands, che corrispondevano a 15 dollari americani del tempo, non proprio una cifra accessibile a tutti, soprattutto alla massa africana, che come abbiamo visto, era l’80% circa della popolazione ed aveva tantissime restrizioni. Onde evitare critiche, alcuni biglietti vennero dati via gratuitamente, in modo da poter avere un pubblico misto come auspicato dalla band.

Adesso ci addentreremo nel resoconto di ciò che accadde dal 5 ottobre, data del primo concerto, al 20 ottobre, data dell’ultimo spettacolo. Può darsi che da altre parti, le storie che riporterà, abbiano altre date, ma ho preso in considerazione le ricerche fatte da Martin Skala negli anni (www.queenconcerts.com) e vi ho aggiunto ciò che sono riuscito a trovare da libri, riviste, racconti di chi c’era e ritagli di giornale ricercati in 30 anni di collezionismo e studio della band. Chiaramente se avete documenti che attestano qualche diversità oppure qualche dettaglio in più, scrivetemi qui: alessandro.carugini@libero.it, ogni contributo è ben accetto!

5 Ottobre 1984: nonostante qualche commento poco amichevole della stampa Europea, ed in particolare di quella inglese, i Queen salgono sul palco del Bowl per il primo di una lunga serie di concerti. La serata scorre tranquilla, con il pubblico molto partecipe. I Queen eseguono i loro pezzi nuovi e fanno una carrellata dei loro pezzi più famosi.  La scaletta, che rimarrà invariata per tutti i concerti, è la seguente:

Machines (tape), Tear It Up, Tie Your Mother Down, Under Pressure, Somebody To Love, Killer Queen, Seven Seas Of Rhye, Keep Yourself Alive, Liar, Improptu, It’s A Hard Life, Dragon Attack, Now I’m Here, Is This The World We Created?, Love Of My Life, Another One Bites The Dust, Hammer To Fall, Crazy Little Thing Called Love, Bohemian Rhapsody, Radio Ga Ga, I Want To Break Free, Jailhouse Rock, We Will Rock You, We Are The Champions, God Save The Queen

6 Ottobre 1984:  Peter Freestone, assistente personale di Freddie, in una intervista dei primi anni 2000, rivelerà che il cantante si risparmiò un pò durante la prima serata, in quanto aveva problemi alla gola. Gli furono somministrati steroidi e per la seconda sera Freddie fu abbastanza tranquillo. Un fan ricorda di aver visto Freddie sfregarsi la gola e sputare sul palco, cosa assai insolita per il frontman dei Queen.

7 ottobre 1984: tutto era pronto per entrare in scena, quando, a pochi minuti dall’inizio dello spettacolo, Freddie ebbe di nuovo problemi alla gola. La band salì comunque sul palco, the show must go on, ma dopo qualche pezzo, il cantante lasciò il palco decisamente contrariato dopo Somebody To Love:  si alzò dal piano e andò via. Qualcuno presente tra il pubblico disse che a uno dei concerti, forse proprio questo, Freddie tossendo sputò del sangue… Non sapremo mai se questa cosa è accaduta davvero o meno, sappiamo solo che le luci si spensero per qualche minuto, mentre il pubblico iniziò ad intonare We Will Rock You. L’organizzatore fu costretto ad uscire e dovette dare la brutta notizia alle persone presenti al concerto: lo spettacolo era terminato. Come ha raccontato Gary Gerber, presente all’evento di quella sera. Per Freddie e la sua gola ci fu soltanto una medicina, riposo assoluto! Così vennero posticipati tutti i concerti. Comunque qualcuno della crew presente in Sud Africa disse che Fredde Mercury era rimasto a far baldoria fino a tardi la notte/mattina precedente e saltò il soundcheck delle 14 del giorno dopo [7 ottobre ndr] in quanto non era in condizione di cantare e dopo tre o quattro canzoni provate, vomitò nei pressi del palco.

Nei giorni successivi a questa pausa forzata, Brian May andò a Soweto. In questa cittadina si svolgeva il “Black African Awards Show”, dedicato ai musicisti di colore. Gli organizzatori lo avvicinarono e gli chiesero se voleva intervenire come ospite d’onore e magari consegnare anche dei premi. La proposta venne accettata di buon grado dal chitarrista dei Queen.  Brian si presentò con Jim Beach a questo spettacolo. Il palco era montato in aperta campagna e c’erano migliaia di spettatori, molti dei quali in piedi. La vincitrice assoluta fu Margaret Sinaga, protagonista femminile del musical africano Ipi Tombi,  che racconta la storia di un giovane uomo di colore che lascia il suo villaggio e la giovane moglie per lavorare nelle miniere di Johannesburg. Al momento della premiazione la commozione contagiò tutti Brian compreso. Margaret, chiamata anche Ladyafrica, era una celebrità in Africa ed era la dimostrazione che se una persona aveva delle capacità, prima o poi, bianca o nera, sarebbe venuta fuori! La sua storia ha dell’incredibile: faceva la domestica per una famiglia bianca e mentre puliva il suo ‘datore di lavoro’  la sentì cantare. Così decise di registrare la sua voce, di inviarla ad un’etichetta discografica e nel 1964 ebbe una parte nel musical Sponono. Da quel musical decollò la sua carriera: nel 1970 iniziò a cantare con i The Symbols, con i quali raggiunse la seconda posizione nel 1972 con il brano Good Feelings e l’anno successivo ottenne la consacrazione con il ruolo di protagonista femminile del musical Ipi Tombi. Nel 1977 il suo brano I Never Loved a Man the Way I Loved You divenne una hit ma nel 1980 fu colpita da un ictus che la paralizzò e la costrinse su una sedia a rotelle. Questo non la fermò… Nel 1986 tornò alla ribalta mondiale con il brano We Are Growing, che era la colonna sonora della serie televisiva (che fu trasmessa anche dalla Rai) Shaka Zulu. Adesso potete capire come si fosse sentito Brian a consegnare quel premio a quella donna!

A proposito di quella serata, Brian la ricorda così: “Un’atmosfera magnifica, sia per il calore che la grande disponibilità della gente. Tutte cose che potevi sentire, le potevi quasi toccare. Fu una serata indimenticabile. Promisi a quella gente che un giorno i Queen sarebbe tornati a Soweto e avrebbero suonato per loro in uno stadio.

12 Ottobre 1984: Freddie si è ripreso bene, i ragazzi sono carichi ed il concerto procede senza intoppi! La macchina Queen è pronta per terminare questo tour de force africano.

13 Ottobre 1984: Niente da segnalare! Anche questo concerto viene portato al termine come da programma.

14 Ottobre 1984: Ultima serata prima di una breve pausa di tre giorni.

I Queen ne approfittano per girare un po’ la città e durante il soggiorno sudafricano sentirono il bisogno di fare qualcosa per la popolazione del luogo, soprattutto per i bambini più bisognosi. C’era una scuola, la Kutlwanong School, che tra i suoi allievi aveva bambini ciechi e sordi. Questa scuola aveva grossi problemi economici e rischiava di chiudere. Dopo varie discussioni e trattative con la EMI [al tempo casa discografica dei Queen, ndr], la band decise di pubblicare un album appositamente per il mercato sud africano e tutti i proventi sarebbero andati a favore della scuola. Il ricavato permise di realizzare una nuova ala dell’edificio, in quanto la scuola non faceva nessuna differenza razziale ed accoglieva tutti i bambini bisognosi della città. Ancora oggi, ad ogni copia venduta, il denaro giunge puntualmente a destinazione [fonte As It Began – biografia ufficiale della band, ndr]

18 Ottobre 1984: ancora una buona esibizione della band ed ancora un successo.

19 Ottobre 1984: penultimo concerto Sud Africano ed unica data di cui abbiamo una registrazione audio. Da tenere presente che questa registrazione completa, è emersa solo nel 2015, fino a quella data avevamo solo la prima parte dello show. Da quanto riportato, sembra che i Queen arrivarono con circa un’ora di ritardo sul palco. Pare che questo inconveniente li portò ad accorciare il loro set e con molta probabilità, venne tagliato il solo di chitarra e lo Stone Cold Crazy medley a metà concerto.

Nonostante ciò, la band suona con grande vigore ed entusiasmo questa notte, abbellendo le canzoni in modi entusiastici che non avevano fatto da anni. La voce di Freddie è in ottima forma e canta con molta passione. È una performance davvero notevole, con la band che suona come se avesse molto da dimostrare (anche se è l’ottavo concerto consecutivo nello stesso luogo, ndr) in questo territorio sconosciuto e politicamente pericoloso. Al termine di Somebody To Love, Freddie improvvisa al pianoforte una progressione discendente alla quale la band si blocca. Il risultato finale è qualcosa che ricorda “The March Of The Black Queen” dal secondo album, Queen II, per poi proseguire in una vera sorpresa per il pubblico: “My Fairy King” dal loro album di debutto Queen. Brian, John e Roger si uniscono a lui per proseguire per qualche secondo il brano che si conclude nella nota ed attesa Killer Queen. Al termine di Liar, c’è una lunga improvvisazione musicale durante la quale Freddie salta su e giù per le ottave senza sforzo, dimostrando la gamma vocale e le abilità naturali in un modo che solo lui sapeva fare. Al termine di questa Jam Session, il cantante, passa la nota alta dell’inizio di It’s A Hard Life, dato che aveva dato il massimo per gli ultimi minuti. Freddie introduce “una canzone scritta da Brian May tre anni fa”, Dragon Attack. La band parte con questo funky rock, seguito da una strepitosa parte strumentale che si trasforma in Now I’m Here.

 Il concerto si tranquillizza un po’ con la parte acustica, dove, come sempre, il pubblico diventa parte integrante dello show sostituendosi a Freddie durante la bellissima Love Of My Life. Da notare che, a differenza dei concerti europei, Freddie deve esortare il pubblico a cantare “Don’t be shy now, girls. Come on!”.

Subito dopo è il turno di uno dei più grandi hit della band:  Another One Bites The Dust. Freddie presenta questa canzone con il famigerato discorso “tette e culi” che aveva sempre usato per Fat Bottomed Girls nei tour precedenti. Freddie continua ad esortare il pubblico a cantare e prima di Hammer To Fall  improvvisa una breve versione a cappella di We Will Rock You.  

Il concerto procede spedito verso la fine. Freddie imbraccia la sua sei corde e prima di Crazy Little Thing Called Love: “Devo dirvi una cosa, conosco solo tre accordi di questa fottutissima chitarra, quindi tre accordi è tutto ciò che avrete. Questa canzone è per tutti i pazzi che sono tra il pubblico stasera. Sono sicuro che ci sono alcuni di voi qui. Mi è stato detto che questa città del peccato è piena di gente pazza.

Subito dopo è il turno di Bohemian Rhapsody. Come sempre durante la parte operistica, la band esce dal palco e lascia il compito di portare avanti il brano, fino alla parte rock, ad un nastro registrato. Il pubblico ascolta in religioso silenzio l’opera.

Curioso siparietto durante Radio Ga Ga. Brian manca completamente il suo solo e per compensare Freddie canta alcune note in falsetto.

Durante I Want To Break Free, sembra che Freddie abbia di nuovo problemi alla gola. La sua voce è molto rauca. Dopo solo 1 minuto circa dall’inizio del brano non riesce a raggiungere una nota, ma poi procede fino a cantare il bridge centrale molto simile alla versione originale presente sul disco. Il brano sfocia in una travolgente ed energetica Jailhouse Rock.

Come ogni concerto dei Queen che si rispetti, anche questo termina con We Will Rock You e We Are The Champions. La registrazione si ferma qui… Molto probabilmente, dopo Champions, potrebbe essere stata mandata in onda God Save The Queen mentre la band salutava il pubblico come era tradizione fare fin dagli anni 70.

20 Ottobre 1984: Termina questa serie lunghissima di concerti! I Queen si preparano a tornare a casa, inconsapevoli di ciò che li attenderà in patria. La gogna mediatica si era già messa in moto ed aspettava le sue vittime.

I Queen tornarono in patria e subito dovettero affrontare l’Unione dei Musicisti. Infatti, andando a suonare a Sun City, avevano contravvenuto ad una delle loro regole. Brian May partecipò ad un incontro con il direttivo dell’Unione e spiegò loro le motivazioni che li avevano spinti a quel tour, disse che ritenevano di aver contribuito maggiormente alla causa andando là ed ottenendo di suonare di fronte ad un pubblico misto, piuttosto che rimanendo a casa seduti in poltrona. Il chitarrista proseguì il suo lungo discorso, facendo presente di aver potuto esprimere il loro pensiero contro l’apartheid sui giornali locali, una cosa veramente atipica per quei tempi. Il riccioluto aggiunse anche se avessero rifiutato di suonare ovunque ci fosse un governo non gradito, sarebbero rimasti ben pochi paesi a disposizione, compresa la Gran Bretagna. Chiuse il tutto dicendo che la musica non doveva avere barriere, razza, colore o connotazione politica. Alla fine del discorso Brian ottenne una standing ovation da parte del pubblico presente, mentre il direttivo non fu così entusiasta, infatti non si fece commuovere dai discorsi di May, ed i Queen furono multati. Ci fu un grosso tira e molla tra la band e l’Unione, ma alla fine vinse la band: decisero di pagare la multa che andò in beneficenza e non nelle casse dell’Unione dei Musicisti. Ma la bega Sun City non finì qui! Le Nazioni Unite iscrissero i Queen nella famosa blacklist, di cui parla Red Ronnie, composta da musicisti, sportivi ed attori che avevano suonato in Sud Africa, di cui abbiamo letto alcuni nomi qualche riga più sopra!

Il 10 Febbraio del 1985 il Times pubblicò un articolo circa un grosso concerto che le ‘Madri Africane’, un comitato fatto di ventotto diplomatici africani, voleva organizzare per raccogliere fondi da devolvere  al Fondo di emergenza dell’Africa. Infatti a causa della siccità, venti paesi erano ridotti allo stremo. Il concerto si sarebbe dovuto tenere il 26 aprile del 1985 presso la Sala dell’Assemblea Generale  delle Nazioni Unite. Le donne inviarono diversi inviti, ma come disse Mary de Almeida, una delle 28 organizzatrici del concerto: “Abbiamo ricevuto offerte da molti musicisti, ma sfortunatamente sono quelli sbagliati. Stiamo aspettando di ricevere qualche adesione da qualcuno che non è nella blacklist dell’apartheid.” C’è da dire due cose in merito: la prima che le ‘Madri Africane’ non erano a conoscenza di questa blacklist, come affermarono le stesse qualche tempo dopo; la seconda che alla fine questo evento si fece allo stadio di wembley il 13 Luglio del 1985… Ma questa è un’altra storia!

La grana Sun City non finisce qui. Nel 1986, durante un’intervista per la Irish radio, lo speaker radiofonico tornò sull’argomento chiedendo a Brian e Roger: “Permettetemi di chiedere una cosa sui Queen che ha disturbato, non solo me, ma anche altre persone. Siete andati in Sud Africa a suonare a Sun City… Raccontatemi come vi siete approcciati a questo… E’ stata una giusta decisione?” I due, abbastanza stizziti per la domanda, risposero così:

ROGER: “Non lo so… E’ una domanda difficile, ed è strano che la gente dia ancora credito a questa storia. Non credo che, chi non sia mai stato là, capisca come quel posto funzioni a senso unico. Noi non approviamo l’apartheid, è ripugnante… Ma francamente, se avessimo suonato in un posto dove non c’era l’apartheid non avrebbe fatto così scalpore [da ricordare i concerti del 1981 in Argentina, ndr]. E’ molto probabile che in Sud Africa, abbiamo venduto più dischi alla gente di colore che non ai bianchi, da ricordare che Another One Bites The Dust ed I Want To Break Free, hanno avuto molto successo tra la gente di colore. Infatti, proprio quest’ultima, è uno degli inni non ufficiali della gente di colore. Li ho visti al notiziario, in TV, cantare questo stupendo brano… Il nostro lavoro è suonare per la gente, di qualsiasi colore essa sia… Ma non sono sicuro, forse dovevamo pensare ‘Oh, forse era meglio non andare…’Sarà stata anche una cosa brutta, ma da parte nostra, non c’erano brutte intenzioni quando eravamo laggiù. Sicuramente non dirò che abbiamo sbagliato, o che mi dispiace, non voglio mentire e fare marcia indietro dicendo ‘Ok, abbiamo sbagliato’ e non dirò nemmeno che avevamo pienamente ragione a suonare là! Non mi sento colpevole, i nostri motivi erano validi. Quello a cui non riesco a credere è che ci siamo messi nei guai con l’Unione Musicisti… Non è un loro problema e neanche la cosa deve riguardarli! Però abbiamo infranto le loro regole, ma io non sono un musicista che possono tenere nel loro taschino. Magari avevano anche delle buone ragioni dalla loro parte, ma non le hanno fatte presenti. Loro non vogliono discutere sui loro punti di vista, loro volevano solo puntualizzare che noi abbiamo infranto le loro regole. Comunque non andremo più laggiù, sarebbe una cosa molto stupida da fare, sarebbe un pò come fare i capricci. Sicuramente non andremo più là, voglio dire… Abbiamo sbagliato ad andare, non dico che eravamo nel giusto, ma a quei tempi volevamo suonare di fronte a più persone possibile. Credo che tutti debbono essere liberi, ma forzare la mano penso che sia pericoloso.

BRIAN: “ Ok, ne parlerò fino ai confini del mondo perché è una cosa che ha disturbato anche me, e la gente è sempre pronta a giudicare male! Eravamo nel giusto ad andare lì quando siamo andati e ti dirò anche il perché… In questo momento è giusto non andare, ed infatti non andremo, non toneremo più lì finché durerà quel regime, ma l’abbiamo detto, giusto per essere onesti, in risposta a tutte quelle pressioni dell’Unione Musicisti. Forse le nostre opzioni potrebbero essere migliori, ma ci è stata tolta la libertà di scegliere. Mi spiego meglio… Vendiamo dischi in Sud Africa, ed in tantissimi altri posti, da molto tempo ed una gran parte di questi dischi viene venduta a gente di colore ed altri dipartimenti raziali. Negli ultimi sei anni, abbiamo ricevuto tantissime offerte per andare a suonare lì ed abbiamo sempre detto di no, in quanto avremmo avuto troppo pubblico segregato. Eravamo totalmente contro l’apartheid ed abbiamo detto che non ci saremo mai andati. Poi ci proposero Sun City e subito declinammo perché avevamo sentito che sarebbe stata una facciata per il regime e noi non volevamo far parte di una cosa del genere. Poi ci venne spiegato che c’era da considerare una cosa… Incuriositi mandammo Jim Beach [il manager della band, ndr] a controllare se tutte queste chiacchere erano vere oppure no. Volevamo capire se davvero c’era l’interrazzialità, se davvero c’era la libertà di accesso, se c’era separazione… Lui tornò soddisfatto e disse che dovevamo andare là… E noi andammo! Però ponemmo la condizione dell’uguaglianza. Il modo più facile di descrivere Sun City è quello di paragonarla a Las Vegas, anzi, direi che è proprio una copia carbone di Las Vegas. E’ tutta una slot machine! E la ragione per cui una rock band deve andare a suonare lì, dal punto di vista del promoter, è quella di mettere la gente di fronte alle slot machine. E’ lo stesso motivo per cui ingaggiano Tom Jones a Las Vegas: è una calamità che attira la gente; quindi noi siamo stati usati dal promoter, come noi, in un certo senso, abbiamo usato lui. Abbiamo così suonato per un pubblico, che non avevamo mai raggiunto prima: non potevamo suonare in Sud Africa visto che non ci era permesso farlo alle nostre condizioni. Alla fine siamo andati, abbiamo suonato, abbiamo parlato con tante persone, abbiamo detto la nostra, abbiamo detto che siamo contro l’apartheid, e che pensavamo che fosse inaccettabile e sbagliato questo regime. Tutti coloro con cui abbiamo parlato ci hanno accolto a braccia aperte, nessuna parola, nessuna critica, nessuno ci disse che non dovevamo andare, anzi, tutti ci dissero che eravamo stati molto coraggiosi ad affrontare tutta quella pressione. Tutti ci rispettavano per essere andati a Sun City ed esserci fatti una nostra opinione. In tanti pensarono che la nostra presente avrebbe aiutato a costruire dei ponti ed incrementare lo scambio tra le popolazioni, che saremo riusciti a rendere l’apartheid meno accettabile. Ed era bellissimo che la gente ci parlasse di queste cose. E se chiedevamo di andare a Johannesburg o in qualche discoteca erano un po’ restii a dirci che era tutto segregato e non potevano portarci  da nessuna parte. Alla fine penso che sia una gran cosa, perché più l’integrazione prende piede, più tutto questo diventa inaccettabile per tutte quelle persone che hanno le idee chiare su ciò che sono i diritti umani. Ciò rispecchia la nostra filosofia sul suonare ovunque, noi crediamo che la musica trascenda le barriere e che non debba essere isolata da queste stesse barriere: la musica costruisce ponti, la musica fa incontrare la gente e, per quanto possiamo essere noi stessi fautori in minima parte, lo faremo. Quindi non mi scuserò perché siamo andati a suonare a Sun City, anzi, credo che abbiamo raggiunto un grandissimo risultato, addirittura la stampa nazionale ha scritto che eravamo contro l’apartheid e sono veramente in pochi che si possano lamentare di questa cosa. Comunque siamo andati, abbiamo sonato e non torneremo là!”

Il giornalista rincara la dose, chiedendo a Brian: ‘Cosa ne pensi del fatto che un sacco di gente insinui che per Brian May dei Queen, Sun City, non è così intollerante come la descrivono…’

Il chitarrista, con la calma che lo contraddistingue, rispose: “Penso che la maggior parte delle persone giunte a questa considerazione, non siano mai state a Sun City… Non sa cosa vuol dire stare là… Voglio dire che noi siamo stati lì, non è stato semplicemente arrivare con un aereo e stare una sola notte. Siamo stati lì a suonare una serie di concerti, siamo rimasti a Sun City per circa tre settimane ed è come Las Vegas; se suoni a Las Vegas è capace che ti ritrovi a suonare per della gente di sera. Poi la mattina ti svegli, vai a fare un giro e puoi incontrargli per strada… E’ un situazione davvero strana e, maldestramente, ti ritrovi parte di quel mondo. Non saprei se senza questa pressione, e tutte le polemiche nate, andremo a suonare là. Certo che rispetto a quando siamo andati noi la situazione è molto cambiata, però non saprei… non ne abbiamo parlato. Ma siamo giunti alla conclusione che sarebbe sbagliato, per noi, andare adesso. Sembrerebbe di non supportare quelle persone; abbiamo dei sentimenti molto forti a riguardo, ne abbiamo parlato pure con le Nazioni Unite, e nessuno ci ha messo in nessuna lista nera perché abbiamo agito per i giusti motivi, per aiutare queste persone. Abbiamo detto che non saremo più andati ma… ho qualche timore… non penso che sia il modo giusto o la soluzione più adatta, ma ormai è tardi… Sta venendo giù una valanga e nessuno può ostacolarla. Però permettimi un’ultima cosa… Sarebbe facile per me dire ‘Ok abbiamo sbagliato, non avremmo dovuto farlo’ , ma sarebbe una codardia morale perché io stesso non ci credo! Preferisco dire la verità, preferisco dire che abbiamo agito secondo la nostra coscienza e ci atteniamo a questo, ed allo stesso tempo, siamo solidali con quello che stanno facendo tutti gli altri”

Più avanti il ‘quinto elemento’ della band, Spike Edney dirà: “Non andammo a Sun City per fare baldoria! I queen avevano fatto un bel po’ di beneficenza laggiù, inclusa una raccolta fondi per una scuola per bimbi sordo ciechi. Più avanti fecero uscire una speciale album live lì, donando tutti i proventi ed i diritti alla scuola. Avevamo ricevuto un’accoglienza fantastica, per cui secondo me avevamo fatto bene ad andarci. Nel giro di un paio di anni, la situazione politica cambiò e tutti andarono a suonare a Sun City!

I Queen, nella figura di Brian May e Roger Taylor, tornarono a suonare in Sud Africa, qualche anno dopo, per la precisione a Cape Town il 29 Novembre del 2003 in occasione del primo concerto organizzato dalla 46664, la campagna mondiale di Nelson Mandela contro l’HIV. Durante quella serata i due restanti membri dei Queen suonarono insieme ad altre star della musica, tra cui il nostro Zucchero ‘Sugar’ Fornaciari. Di seguito la tracklist e le info relative a quella serata:

Say It’s Not True (Roger alla voce)
Invincible Hope
46664 – The Call (Brian alla voce)
The Show Must Go On (Chris Thompson alla voce)
Toss The Feathers (The Corrs, Roger alla batteria)
Is This The World We Created? (Andrea Corr alla voce)
Everybody’s Got To Learn Sometime (Zucchero alla voce)
Amandla (Anastacia e Beyonce alla voce)
Bohemian Rhapsody
I Want It All (Zucchero alla voce)
I Want To Break Free (Tandy alla voce)
Radio Ga Ga (Roger alla voce)
We Will Rock You (Anastacia alla voce)
We Are The Champions (Anastacia alla voce)

Ormai la questione Sun City del 1984 era morta e sepolta e la collaborazione con la 46664 di Nelson Mandela andò avanti e nel 2005 Brian May e Roger Taylor, accompagnati da Paul Rodgers, si ripresentarono su un palco del Sud Africa,a George, per il nuovo evento relativo alla fondazione di Mandela. Questo concerto fu anche il primo della lunga collaborazione l’ex cantante dei Free e dei Bad Company. Paul Rodgers è la voce principale in tutti i brani suonati ad eccezione di quelle dove indicato diversamente:

Tie Your Mother Down
Can’t Get Enough For Your Love
I Want To Break Free
Fat Bottomed Girls
Say It’s Not True (Roger Taylor alla voce)
Too Much Love Will Kill You (Katie Melua alla voce)
Hammer To Fall (Brian May alla voce)
A Kind Of Magic
Feel Like Making Love
Radio Ga Ga (Roger Taylor alla voce)
Crazy Little Thing Called Love
The Show Must Go On
All Right Now
We Will Rock You
We Are The Champions (featuring  The African Childrens Choir)

I Queen e l’affaire Sun City… sarà davvero finita? Oppure rimarrà una macchia indelebile nella loro storia? Ai posteri l’ardua sentenza… (cit.)

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